giovedì 10 maggio 2012

Creatività, impresa e innovazione: garantire il diritto di fare

In una recente relazione, la commissione europea ha analizzato il ruolo dell'educazione all'imprenditorialità in 31 stati europei e in 5 nazioni senza stato. 
"Entrepreneurship Education at School in Europe" ("Educazione all'imprenditorialità nelle scuole in Europa"), questo è il nome della ricerca che ci fornisce alcuni elementi di riflessione sul sistema educativo che siamo costretti, in qualche modo, a subire. La promozione dell'educazione all'imprenditorialità risulta essere in aumento nella maggior parte dei paesi europei.
Sempre di più viene considerata strategica la creatività, il saper fare e il mettere al servizio della collettività queste capacità trasformando le idee in servizi, prodotti e in scambio sociale. Soprattutto i piccoli paesi, le piccole repubbliche dinamiche, si muovono in questa direzione ben consapevoli come sono che le idee dei propri cittadini sono il patrimonio principale su cui investire risorse e su cui sviluppare la formazione.
"Otto paesi (tra le quali figurano l'Estonia, il Galles e la parte fiamminga del Belgio) hanno messo in atto strategie specifiche per promuovere l'educazione all'imprenditorialità, mentre altri tredici l'hanno inserita nelle loro strategie nazionali per la formazione continua, la gioventù o la crescita. L'Italia ovviamente non è tra questi.
E in Sardegna?
Da decenni ci siamo abituati a considerarci un popolo di consumatori, incapaci di produrre ma pronti sempre e comunque a consumare. A ciò ha fatto sicuramente da sponda un sistema educativo che non ha sviluppato alcuno strumento di supporto all'imprenditorialità ed a favorire le capacità creative di un popolo intero.
L'Unione Europea fornisce una serie di strumenti, integrati nella strategia EUROPA2020, per sviluppare strategie anche territorializzate di supporto allo sviluppo dell'imprenditorialità ("L'Unione dell'innovazione", "Youth on the move" e "Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione"). 
Dalle nostre parti pare non interessino a nessuno.
Ci lamentiamo giustamente del sistema fiscale italiano che impedisce l'avvio di attività serie e produttive, dei costi dell'energia, dell'assenza delle infrastrutture ma ci si dimentica troppo spesso che sono necessari la formazione e le competenze per trasformare le idee in realtà produttive.
Un popolo che non produce alcunché da scambiare con il mondo non può esistere. Le capacità di fare filiera, commercializzare, brevettare, produrre innovazione non sono capacità innate. Sono il frutto di strategie oculate e lungimiranti di investimento sulle persone e sulle loro competenze.
Da questo si deve partire: da una riforma seria del sistema formativo che integri strumenti per lo sviluppo dello spirito imprenditoriale e per il rafforzamento delle competenze. 
Nell'era del terziario avanzato, chi non presta attenzione a questi elementi è destinato a fallire e ad attendere nel proprio territorio qualche fabbrica inquinante o qualche forma di assistenzialismo.
Il "diritto di fare" va coltivato con intelligenza, chi progetta una Repubblica non può in alcun modo sottovalutarne l'importanza. Che fare? Investire nel nostro spirito creativo o aspettare un nuovo piano di rinascita?


Frantziscu Sanna

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