Ci sono particolari momenti storici in cui è necessario
fermarsi un attimo per riflettere, per capire e scegliere.
Sono solitamente "fasi di passaggio", o di confine, che decretano
la fine di cicli storici consolidati. Sono questi i periodi di
cambiamento, di trasformazione sociale, dove le energie migliori di una società possono mettersi in moto o fermarsi a seconda delle volontà e delle strategie
che un popolo è in grado di spendere. Quello che stiamo vivendo in Sardegna, in questo momento
storico, è insomma ciò che si definisce come il "momento delle
scelte".
Mentre assistiamo impotenti al fallimento del modello di
stato costruito dall'Italia repubblicana e ci troviamo nel bel mezzo di una
possibile apocalisse culturale, che potrebbe realmente veder sparire il nostro
popolo dallo scenario mondiale a causa di
trend consolidati, siano essi demografici o socioeconomici, noi
indipendentisti siamo chiamati a scegliere per noi stessi e per il bene del
nostro popolo.
Non è più possibile tergiversare o lasciarsi trasportare da scelte effettuate da altri, questo è il momento per affermare una nostra visione, uno scenario, un possibile futuro.
Per questo, da attenti osservatori del quadro politico e sociale della nostra nazione e del contesto euro-mediterraneo, abbiamo l'obbligo di trasformarci in attori protagonisti del cambiamento. Per dirla con Ghandi: dobbiamo essere noi stessi collettivamente, oggi più che mai, il cambiamento che vogliamo vedere.
Non è più possibile tergiversare o lasciarsi trasportare da scelte effettuate da altri, questo è il momento per affermare una nostra visione, uno scenario, un possibile futuro.
Per questo, da attenti osservatori del quadro politico e sociale della nostra nazione e del contesto euro-mediterraneo, abbiamo l'obbligo di trasformarci in attori protagonisti del cambiamento. Per dirla con Ghandi: dobbiamo essere noi stessi collettivamente, oggi più che mai, il cambiamento che vogliamo vedere.
Una galassia frammentata
spinta dalle nuove generazioni
Dopo anni di contrapposizione, del tutti contro tutti, dei
teorici contro gli azionisti, dei salottieri contro i campagnoli, dei liberali
contro gli statalisti, a tutti noi
spetta un compito importante e non più derogabile nel tempo: governare la
nostra terra. Missione difficile e allo stesso affascinante che deve tuttavia lasciare alle spalle anni di pressapochismo e di vittimismo per fare spazio a classe dirigente seria, coerente e preparata ad affrontare le sfide contemporanee di un'economia-mondo in via di radicale trasformazione.
Le contrapposizioni, si sa, hanno dei lati negativi ma anche
dei lati positivi: generano processi dialettici e producono energie, entusiasmo
nuovo. Si pensi alla parabola di iRS e alle differenti anime che ne hanno caratterizzato il percorso, dandogli slancio e forza per poi segnarne anche il triste epilogo.
Così la galassia indipendentista in questi anni ha vissuto,
anche grazie alle contrapposizioni, un processo di crescita costante in termini
di presenza sul territorio, di riscontro elettorale ma anche e soprattutto, di
presenza nel dibattito culturale e politico. Insomma, l'indipendentismo si è diffuso nel tessuto sociale
ed economico della società sarda ma, allo stesso tempo, le sue forme
organizzate hanno vissuto un costante processo di disarticolazione, quasi di
deterioramento e di perdita di credibilità (in particolare a causa delle
spaccature traumatiche vissute da tutti i movimenti e partiti indipendentisti in questi
ultimi anni). Se da un lato l'indipendentismo è sempre più presente nella
nostra quotidianità, dall'altro esso è incapace di organizzarsi per diventare
una reale forza di trasformazione.
Tuttavia, nei processi storici, alle fasi di
eccessiva frammentazione possono seguire fasi di ricomposizione ma solo se
si è bravi a guidare i processi e ad intravvedere soluzioni possibili ai problemi.
Se non fosse per la presenza di leadership storiche, verrebbe
da pensare che in Sardegna si sta vivendo una fase di nuova trasformazione
generazionale. Quelle coorti d'età che non hanno usufruito in nessun modo delle
elargizioni dello stato italiano, alimentate dal debito pubblico, stanno
muovendo passi importanti nel mettere in discussione lo status quo. Una
generazione intera si sta schierando, in contrapposizione ai processi di
conservazione promossi da tutti i partiti unionisti, dalla parte
dell'indipendentismo. Chiaramente dalla parte di chi vuole realizzare nuove
istituzioni, nuovo welfare, nuovi diritti di cittadinanza all'interno di una
nuova Repubblica. Tutto ciò che l'ideologia autonomista e unionista non è più in
grado nemmeno di promettere, questo pezzo di società vuole costruirselo senza
clientelismi, senza sotterfugi, con le proprie forze e con il coraggio di scegliere.
Questa generazione è l'anima vitale della galassia
indipendentista attuale e dimostra quotidianamente la sua propulsività anche a
dispetto di limiti organizzativi più che evidenti. L'indicatore più rilevante
di queste criticità è possibile riscontrarlo in un elemento oggettivo:
attualmente un numero consistente di giovani indipendentisti non sceglie alcuna
organizzazione partitica in quanto, pur valutandone positivamente le attività,
non riesce ad identificarle come forze di trasformazione reale. La malattia che tiene lontane tutte queste energie ha un nome: si chiama balcanizzazione.
Il processo di
balcanizzazione dell'indipendentismo
Attualmente esistono un'infinità di sigle, più o meno
piccole, che coprono uno scenario piuttosto ampio, sia da un punto di vista
ideale che da un punto di vista di prassi e azione politica. Si va, infatti, dai partiti organizzati e radicati nei
territori e nelle istituzioni, ai partiti micro che ruotano attorno ad una
manciata di volenterosi, dalle associazioni culturali d'area ai piccoli
collettivi, dalle organizzazioni orizzontali e informi a quelle strutturate in
maniera verticistica. Si spazia su prospettive ideologiche differenti, dai
marxisti ai liberaldemocratici, con interessanti tentativi di superamento delle
fratture ideologiche novecentesche. Un orizzonte variegato e complesso che trova nei nuovi media un terreno privilegiato di confronto ma che ha l'occhio rivolto alle 377 comunità che compongono questa nazione.
Una vera e propria galassia insomma di formazioni politiche
il cui unico elemento comune, sebbene con sfumature differenti, è quello di
volere l'indipendenza nazionale della Sardegna e la costituzione di un nuovo
stato sovrano.
Oltre al punto di contatto vanno segnalate anche le diatribe,
le dispute, le battaglie di posizione. Frutto di personalismi esasperati e di
differenze incomprensibili per le persone normali, che quotidianamente vivono
in questa terra. Tali scaramucce rappresentano una delle maggiori barriere
all'ingresso nella politica attiva per tante persone.
Immaginate se in Scozia avessero 12 micro partiti a
rincorrersi su percentuali da prefisso telefonico e che per di più si fanno una
subdola guerra tra loro: i giovani scozzesi avrebbero lo stesso entusiasmo nel
costruire il proprio futuro? Parteciperebbero allo stesso modo alla vita
politica? Spesso le organizzazioni politiche hanno un obbligo morale rispetto ai
cittadini, ossia costruire fiducia. Le nostre organizzazioni indipendentiste
attualmente rischiano di generare sconforto e disillusione.
Alcune domande
strategiche
E' possibile fare in modo che questa variegata entità di
formazioni sociali, per dirla con una categoria Simmeliana, possa trovare un
modo per incidere realmente sulle dinamiche di trasformazione in Sardegna?
Oppure tale ingente quantità di risorse intellettuali è destinata a rimanere
una semplice comparsa nella vicenda storica di questa terra? Il processo di
balcanizzazione che attualmente sta vivendo l'indipendentismo è un processo
reversibile? Sarà possibile, e a quale costo, attivare strategie di
ricomposizione?
Tre scenari possibili
Stando così le cose è possibile intravvedere tre scenari di
fronte all'indipendentismo contemporaneo in Sardegna. Tutti e tre presentano
potenzialità, criticità e limiti. Tutti e tre rappresentano delle possibili
evoluzioni ed è per questo che ad essi va rivolto il nostro sguardo attento per
verificare quale potrà essere il percorso migliore per supportare il processo
di autodeterminazione nazionale del nostro popolo.
Si tratta di scenari politici e quindi di scenari che si
intrecciano con il variegato panorama politico della Sardegna. Un mix di
legami, scambi sociali e interessi che determinano aggregazioni e possibili
soluzioni per il futuro governo della nostra nazione.
La frammentazione
persistente
Il primo scenario, alquanto verosimile, considerate le
attuali posizioni dei partiti, potrebbe essere definito da un punto di vista
sociologico come di "frammentazione persistente".
In tale scenario infatti la frammentazione
dell'indipendentismo si incancrenirebbe fino al punto di portare alcune
organizzazioni a stringere un'alleanza con i partiti unionisti di centro
sinistra, altre con i partiti unionisti di centro destra e alcune organizzazioni
a proseguire in un cammino solitario. In
questo modo nessuna chiara opzione indipendentista verrà offerta ai sardi,
nessuna credibilità aggiuntiva verrà ottenuta e anzi si contribuirà a far
percepire che, in fondo, tutto si deve giocare sulle scelte e sulle strategie dei
partiti italiani e dei loro capi corrente. L'indipendentismo, in questo scenario, finirebbe come un'appendice inutile dell'unionismo e rischierebbe, a mio avviso, una
emarginazione pressochè definitiva, perlomeno nel medio periodo. Tutta la spinta emotiva attuale rischierebbe di essere riassorbita da meccanismi più che conosciuti, si pensi solo al periodo post bellico o ai già citati anni 80. Come se ogni 30 anni dovesse riapparire lo spirito sopito del nostro popolo, con la nostra coscienza nazionale, e non si riuscisse mai a trovare il modo e la forma per assecondare una necessità diffusa, un bisogno impellente di libertà nuove.
Sicuramente qualcuno otterrebbe qualche posticino di sottogoverno o qualche posto all'interno del consiglio regionale ma che fine farebbe quell'entusiasmo generazionale che in questi anni ha dimostrato enormi potenzialità? Più o meno la stessa fine che fece negli anni 80, quando il Psd'Az alla guida del vento sardista sperperò un ingente patrimonio di volontà di cambiamento e di voglia di libertà. Ancora oggi capita di sentire persone che, avendo vissuto quella fase storica con grande trasporto, sentono ancora forte un concreto senso di sconfitta.
Sicuramente qualcuno otterrebbe qualche posticino di sottogoverno o qualche posto all'interno del consiglio regionale ma che fine farebbe quell'entusiasmo generazionale che in questi anni ha dimostrato enormi potenzialità? Più o meno la stessa fine che fece negli anni 80, quando il Psd'Az alla guida del vento sardista sperperò un ingente patrimonio di volontà di cambiamento e di voglia di libertà. Ancora oggi capita di sentire persone che, avendo vissuto quella fase storica con grande trasporto, sentono ancora forte un concreto senso di sconfitta.
L'unità
indipendentista
Scenario 2 - Tutte le forze indipendentiste (A, B, C e D) si ricompattano in un partito unico e si confrontano con le coalizioni unioniste. |
Il secondo scenario riguarda, in senso lato, quella che viene appellata come "l'unità indipendentista" e, in concreto è collegata alla costruzione del Partito Nazionale dei Sardi. In
questo scenario, proposto da diversi e autorevoli esponenti del mondo indipendentista (e non),
le organizzazioni definiscono e strutturano un percorso per la costruzione di
un partito nazionale sardo, ovvero un'organizzazione unica in grado di
consentire la messa a sistema di tutte le energie presenti nello scenario
politico siano esse indipendentiste o sovraniste.
Tale opzione è destinata a scontrarsi con una frammentazione
fin troppo consolidata e con un'incapacità viscerale di rinunciare ad un pò di
visibilità in cambio di un incremento notevole di credibilità per l'intero
progetto. Tale scenario potrebbe a mio avviso recuperare un minimo di fattibilità
e appetibilità solo nel lungo periodo qualora intervenissero a suo supporto
alcune importanti modifiche istituzionali, ad esempio nel sistema elettorale.
In giro per l'Europa tale scenario è ben rappresentato dal già citato modello
scozzese con lo "Scottish National Party" il quale, pur racchiudendo al suo interno posizioni eterogenee, riesce a garantire una valida scelta di governo per il
proprio popolo mantenendo all'interno del partito la dialettica politica e di contenuto.
Addirittura, in quel contesto nazionale, si è arrivati alla positiva situazione in cui un
partito storico come i liberal democratici sono arrivati a chiedere di poter
aderire al progetto del SNP. In questo caso l'unità paga e risulta essere persino dilagante se supportata anche da positive esperienze di governo.
In Sardegna, tuttavia, tale prospettiva risulta non solo inattuabile ma addirittura controproducente se si pensa che proprio la presenza di una pluralità di forze politiche, dagli orientamenti disparati è riuscita a catturare l'attenzione di fasce sociali differenti, intrepretandone i bisogni e le aspettative.
Il partito unico monolitico avrebbe una scarsa capacità su questo versante e rischierebbe di vanificare quell'attenzione che mostrano attualmente tutti gli strati sociali e tutte le categorie professionali.
Il partito unico monolitico avrebbe una scarsa capacità su questo versante e rischierebbe di vanificare quell'attenzione che mostrano attualmente tutti gli strati sociali e tutte le categorie professionali.
La ricomposizione
strategica
Ma veniamo al terzo e ultimo scenario, che potrebbe
caratterizzare il futuro dell'indipendentismo in Sardegna. Lo definirei "di
ricomposizione strategica" in quanto vedrebbe la sua concretizzazione nell'avvio
di un dialogo tra tutte le forze indipendentiste e sovraniste che a partire dalle proprie
differenze, ideologiche, strategiche e di metodo dovrebbero condividere alcuni
punti di fondo e avviare un reale percorso di ricomposizione organizzativa in
grado di far salve le individualità di tutti i partecipanti, siano essi partiti, movimenti, correnti, associazioni o quant'altro.
Attualmente è in
corso un primo tentativo di dialogo, sebbene ancora tentennante, che potrebbe fungere
da buon primo passo di un processo più complesso attraverso il quale si dovrà
per forza lavorare su elementi organizzativi condivisi in grado di mettere a
sistema le energie e di incidere sulle criticità viste precedentemente. Tale processo, portato avanti dai partiti, dovrebbe riguardare anche la più vasta società civile e tutte quelle formazioni sociali che fanno dell'indipendentismo il loro collante. L'attuale processo andrebbe quindi ampliato per coinvolgere tutti e per rimettere in gioco i tanti cittadini e gruppi di cittadini che non hanno ancora scelto alcun partito politico attualmente presente nello scenario indipendentista.
Il risultato di un processo partecipato di condivisione non deve certo portare, fin da subito, ad un'alleanza elettorale organica. Parlo di qualcos'altro, di ben più strategico e profondo, che si sviluppi per piccoli step e che possa condurre ad un indipendentismo nuovo, maggiormente attento ai sardi, maggiormente in grado di creare fiducia, capace di strutturare nuovo tessuto relazionale e di dare impulso all'intera società ed ai suoi differenti strati sociali. Un indipendentismo in grado di diventare reale alternativa all'unionismo/autonomismo. Credibile, non marginale, presente nelle amministrazioni locali e capace di scegliere piuttosto che di protestare.
Il modello galiziano
In Galizia, nazione senza stato situata nel nord-ovest della
Spagna, vent'anni fa la situazione di frammentazione dell'orizzonte
nazionalista e sovranista era simile a quello sardo: tante organizzazioni,
partiti, gruppi, correnti di pensiero. Frammentazione e divisioni, con un intenzione però condivisa: restituire alla nazione galiziana la sua esistenza dopo decenni di dittatura franchista. Come hanno perseguito il loro obiettivo? Dando vita al Blocco Nazionalista Galego (BNG) ovverosia "un'organizzazione di organizzazioni" in grado di tenere assieme gruppi di ispirazione maoista con gruppi di ispirazione liberal-democratica; gruppi informali con associazioni, movimenti con partiti politici. Il tutto grazie ad una struttura organizzativa rispettosa delle individualità ma in grado di delegare alcune minime funzioni a degli organi collegiali. Così nell'arco degli anni, con la possibilità di tesserarsi o ai singoli partiti o direttamente al blocco, i galiziani hanno dimostrato di essere poco interessati ai piccoli partitini ideologizzati e molto interessati invece alla federazione degli stessi. Attualmente ben il 70% degli iscritti alla federazione non ha alcuna appartenenza partitica, solo il restante 30% risulta tesserato alle strutture dei singoli partiti. Il blocco è riuscito negli anni a diventare il secondo partito della galizia conquistando in meno di 15 anni più del 20% dell'elettorato.
Il modello galiziano, spiegato sinteticamente, dimostra che i partiti e le differenze ideologiche, di azione, di visione del futuro sono importantissimi in una prima fase ma perdono di importanza quando si avvia un reale coinvolgimento della società locale e gli si permette la partecipazione. Allora, a prendere la scena sono le idee condivise, la volontà di governo del territorio e la capacità di fornire risposte concrete alla gente in un processo di autodeterminazione.
E' possibile immaginare in Sardegna un'applicazione del modello galiziano? questa è la domanda che dobbiamo porci. A mio avviso non solo è possibile, ma addirittura auspicabile. La concretizzazione di uno scenario del genere, con i tempi necessari, consentirebbe di intervenire su tutte le criticità messe in luce dal dibattito contemporaneo sull'indipendentismo in Sardegna e permetterebbe di affrontare anche i primi due scenari presentati con maggiore consapevolezza e lucidità.
Un percorso lento, costruito su piccoli step, concatenati logicamente. Che riducono al minimo le opzioni conflittuali per dedicarsi a verificare le convergenze possibili. Ogni singola organizzazione mantiene intatta la sua autonomia strategica e politica ma avvia allo stesso tempo un processo di condivisione di un percorso politico con chi condivide l'orizzonte della Repubblica di Sardegna. Pian piano si da vita ad un'organizzazione sovraordinata che non vincola ma che coordina. Che accompagna i piccoli passi senza stravolgere le filosofie dei singoli gruppi, i personalismi intrinsechi, gli approcci differenti alla realtà sociale. Si fa salva la diversità in un processo di condivisione e di cooperazione.
Una road map possibile
Una road map possibile
Vediamo alcuni step di un percorso che potrebbe essere seguito dall'attuale universo indipendentista sardo per dare forma ad una strutturale innovazione organizzativa.
1. I partiti definiscono alcuni punti cardine su cui costruire una piattaforma politica. Ci saranno pure 5 punti su cui tutti gli indipendentisti presenti in sardegna concordano? Credo proprio di si. Lo dimostra il tentativo compiuto da aMpI in questi mesi.
2. Viene allargato il dibattito ad associazioni, gruppi, collettivi e comitati di orientamento indipendentista e si integrano i punti definiti dai partiti.
3. Viene redatto un documento che sintetizza questa attività di confronto e di convergenza. Diventa una sorta di carta tematica minima che dovrebbe stare alla base di un livello organizzativo, sovraordinato ai singoli partiti.
4. Si definisce un livello di governo del processo eletto democraticamente attraverso elezioni, sul modello delle primarie.
5. Si strutturano due organi di governo uno consultivo in grado di rappresentare tutte le sensibilità presenti e uno maggiormente politico chiamato ad occuparsi solo dei punti condivisi e non delle competenze dei singoli partiti.
5. Si strutturano due organi di governo uno consultivo in grado di rappresentare tutte le sensibilità presenti e uno maggiormente politico chiamato ad occuparsi solo dei punti condivisi e non delle competenze dei singoli partiti.
6. Entrambi gli organi di governo mettono a punto ogni anno un programma di mandato che viene votato da tutta l'assemblea degli iscritti.
7. I singoli partiti continuano a lavorare come meglio credono, non subiscono alcun tipo di dictat dall'organizzazione sovraordinata, sono semplicemente chiamati a rispettare i principi fondativi pattuiti in maniera condivisa.
8. Ogni organizzazione deve poter uscire dalla federazione quando meglio crede.
9. Possono aderire nuove organizzazioni sottoscrivendo la carta tematica ed il documento organizzativo.
7. I singoli partiti continuano a lavorare come meglio credono, non subiscono alcun tipo di dictat dall'organizzazione sovraordinata, sono semplicemente chiamati a rispettare i principi fondativi pattuiti in maniera condivisa.
8. Ogni organizzazione deve poter uscire dalla federazione quando meglio crede.
9. Possono aderire nuove organizzazioni sottoscrivendo la carta tematica ed il documento organizzativo.
Un esempio pratico
Facciamo un esempio. Io ed il mio partito politico "A" aderiamo al "Blocco Nazionale Sardo" (nome ovviamente di fantasia). Sottoscriviamo un documento tematico che traccia 10 punti di condivisione. Abbiamo il dovere di rispettarli tutti. Gli aderenti al partito "A" aderiscono automaticamente anche al Blocco. Gli iscritti al partito "A" seguono le proprie regole al loro interno. Ogni anno votano per l'elezione di due organi del Blocco Nazionale Sardo: per quello consultivo votano i propri rappresentanti, mentre per quello politico votano i propri candidati che si confrontano con i candidati degli altri partiti, associazioni, correnti, fondazioni ecc che partecipano al BNS.
In una prima fase ogni partito è libero di portare avanti le proprie strategie elettorali. Pian piano, senza alcuna fretta, si definiranno le cose da fare assieme avendo come orizzonte quello di costruire una reale alternativa di governo all'unionismo. Il partito "A" facendo crescere i suoi iscritti fa crescere anche il suo peso all'interno del BNS. Il partito "A" cura i suoi strumenti di comunicazione, la sue rete, la sua formazione interna e la preparazione dei suoi attivisti. Fa sempre riferimento al BNS per ciò che concerne i punti condivisi mentre mantiene totale libertà per il resto. Partecipa a tutte le attività organizzate dal BNS in maniera propositiva facendo proposte per il rafforzamento della cooperazione tra indipendentisti. Il partito "A" decide liberamente le sue relazioni strategiche fino a quando l'assemblea dell'aggregazione indipendentista non avrà deciso di strutturare anche un alleanza elettorale ovviamente il tutto dopo un eventuale approvazione della maggioranza degli iscritti.
Insomma massima libertà per il partito "A" di proseguire nel cammino prescelto dando però disponibilità ad un percorso innovativo di riaggregazione nazionale.
Tale esempio ovviamente non pretende di avere alcuna esaustività del processo che potrebbe essere intrapreso. Ha come unico scopo quello di tracciare alcuni elementi di un possibile percorso in maniera quanto più verosimile. Stesso discorso potrebbe valere per un'associazione culturale che decidesse di aderire, per un collettivo, per una fondazione o anche per un singolo cittadino o per un gruppo informale.
Il dibattito attuale
Oggi c'è tanto dibattito sull'indipendentismo. Come non si vedeva da anni. Giornali, siti web, programmi televisivi dovunque si parla di indipendentismo, di sovranità o della fine dell'autonomismo.
In questo scenario immaginate che tipo di interlocutore potrebbe essere un'aggregazione così strutturata per tutti coloro i quali cominciano a vedere i percorsi di sovranità nazionale come possibilità concreta per la nostra terra. Si smetterebbe di vedere corteggiatori pronti ad accaparrarsi questo o quel pezzo di indipendentismo da far risplendere come medaglia nella propria coalizione unionista e si invertirebbe la prospettiva: l'indipendentismo sarebbe capace di accogliere nuovi stimoli e nuovi pezzi di società.
Le parti più consapevoli dell'attuale scenario unionista troverebbero un valido interlocutore collettivo fatto di sensibilità diverse e di prospettive differenti ma tutte legate da uno stesso obiettivo "minimo".
Sarebbe un pò come poter scegliere se ascoltare ancora i canti delle sirene, oppure diventare noi stessi sirene in grado di ammaliare i sardi, compresi quelli che lavorano e militano nei partiti unionisti.
Cosa scegliere e perché
Facciamo un esempio. Io ed il mio partito politico "A" aderiamo al "Blocco Nazionale Sardo" (nome ovviamente di fantasia). Sottoscriviamo un documento tematico che traccia 10 punti di condivisione. Abbiamo il dovere di rispettarli tutti. Gli aderenti al partito "A" aderiscono automaticamente anche al Blocco. Gli iscritti al partito "A" seguono le proprie regole al loro interno. Ogni anno votano per l'elezione di due organi del Blocco Nazionale Sardo: per quello consultivo votano i propri rappresentanti, mentre per quello politico votano i propri candidati che si confrontano con i candidati degli altri partiti, associazioni, correnti, fondazioni ecc che partecipano al BNS.
In una prima fase ogni partito è libero di portare avanti le proprie strategie elettorali. Pian piano, senza alcuna fretta, si definiranno le cose da fare assieme avendo come orizzonte quello di costruire una reale alternativa di governo all'unionismo. Il partito "A" facendo crescere i suoi iscritti fa crescere anche il suo peso all'interno del BNS. Il partito "A" cura i suoi strumenti di comunicazione, la sue rete, la sua formazione interna e la preparazione dei suoi attivisti. Fa sempre riferimento al BNS per ciò che concerne i punti condivisi mentre mantiene totale libertà per il resto. Partecipa a tutte le attività organizzate dal BNS in maniera propositiva facendo proposte per il rafforzamento della cooperazione tra indipendentisti. Il partito "A" decide liberamente le sue relazioni strategiche fino a quando l'assemblea dell'aggregazione indipendentista non avrà deciso di strutturare anche un alleanza elettorale ovviamente il tutto dopo un eventuale approvazione della maggioranza degli iscritti.
Insomma massima libertà per il partito "A" di proseguire nel cammino prescelto dando però disponibilità ad un percorso innovativo di riaggregazione nazionale.
Tale esempio ovviamente non pretende di avere alcuna esaustività del processo che potrebbe essere intrapreso. Ha come unico scopo quello di tracciare alcuni elementi di un possibile percorso in maniera quanto più verosimile. Stesso discorso potrebbe valere per un'associazione culturale che decidesse di aderire, per un collettivo, per una fondazione o anche per un singolo cittadino o per un gruppo informale.
Il dibattito attuale
Oggi c'è tanto dibattito sull'indipendentismo. Come non si vedeva da anni. Giornali, siti web, programmi televisivi dovunque si parla di indipendentismo, di sovranità o della fine dell'autonomismo.
In questo scenario immaginate che tipo di interlocutore potrebbe essere un'aggregazione così strutturata per tutti coloro i quali cominciano a vedere i percorsi di sovranità nazionale come possibilità concreta per la nostra terra. Si smetterebbe di vedere corteggiatori pronti ad accaparrarsi questo o quel pezzo di indipendentismo da far risplendere come medaglia nella propria coalizione unionista e si invertirebbe la prospettiva: l'indipendentismo sarebbe capace di accogliere nuovi stimoli e nuovi pezzi di società.
Le parti più consapevoli dell'attuale scenario unionista troverebbero un valido interlocutore collettivo fatto di sensibilità diverse e di prospettive differenti ma tutte legate da uno stesso obiettivo "minimo".
Sarebbe un pò come poter scegliere se ascoltare ancora i canti delle sirene, oppure diventare noi stessi sirene in grado di ammaliare i sardi, compresi quelli che lavorano e militano nei partiti unionisti.
Cosa scegliere e perché
Inutile dire che parteggio per il terzo scenario. Vedo in esso una grande possibilità per l'indipendentismo di individuare alcune innovazioni pragmatiche che consentirebbero di ovviare ai traumi delle scissioni e delle frammentazioni e permetterebbero ai sardi di avere, nel medio lungo periodo, una reale alternativa di governo.
Vedo anche la possibilità di restituire fiducia e quel tessuto connettivo minimo che pare mancare attualmente. Ad esso riconosco anche il potenziale di poter gestire anche gli altri scenari contrapposti (scenario 1 e scenario 2). Trattandosi di un percorso per step, potrà avere una durata più o meno lunga ma nel frattempo potrebbe fungere da orizzonte per i partiti e per le loro scelte contingenti, una specie di orizzonte da seguire ma non vincolante.
Vedo anche la possibilità di restituire fiducia e quel tessuto connettivo minimo che pare mancare attualmente. Ad esso riconosco anche il potenziale di poter gestire anche gli altri scenari contrapposti (scenario 1 e scenario 2). Trattandosi di un percorso per step, potrà avere una durata più o meno lunga ma nel frattempo potrebbe fungere da orizzonte per i partiti e per le loro scelte contingenti, una specie di orizzonte da seguire ma non vincolante.
Ora, non mi preoccuperei delle tante differenze tra le organizzazioni, in alcuni casi anche radicali. Tali differenze devono rimanere e se possibile rafforzarsi: saranno una vera e propria ricchezza. All'interno di una struttura organizzativa agile e funzionale tali differenze verranno viste come pluralità di offerta e non come frammentazione. Al lavoro dei singoli partiti ed alle loro capacità elaborative verrà data la possibilità di innovare e arricchire il quadro condiviso. Chi sarà più bravo a far rete territoriale crescerà e metterà radici solide.
Si tratterebbe in sostanza di un processo complessivo di democratizzazione dal basso che potrebbe consentire a tanti di bypassare le soglie d'ingresso anguste dei piccoli partiti per scegliere opzioni differenti quali quelle che un processo federativo di questo tipo offre.
A quel punto sì che risulterà interessante costruire nuova dialettica tra opzioni sociali differenti, sarà possibile far confrontare proposte social democratiche con opzioni di matrice marxista, opzioni liberal democratiche e maggiormente moderate. Tutto avrà una sua cornice minimale in grado di mettere a sistema la diversità. Pochi punti condivisi e tanto dibattito. Riscoperta della democrazia partecipata dal basso. Ma soprattutto un messaggio chiaro passerebbe, ed è a mio avviso la cosa principale che attualmente rischia di passare inosservata e di venire cancellata dal dibattito politico, ovvero: l'indipendentismo non può che essere alternativo all'unionismo ed al neoautonomismo. Da una parte devono stare coloro che vogliono costruire una Repubblica sarda indipendente, dall'altra coloro i quali, si identificano nell'appartenenza alla nazione Italiana e osteggiano, con sfumature differenti, il processo di autodeterminazione nazionale del nostro popolo. Solo se gli indipendentisti, i repubblicani tutti, sapranno innovare lo scenario politico attuale l'obiettivo finale sarà più vicino. Solo così l'indipendentismo potrà raccogliere tutto ciò che fino ad oggi è stato seminato con passione e devozione da attivisti e militanti. Indipendentisti e sovranisti da una parte, unionisti dall'altra, così sarà possibile difendere realmente gli interessi nazionali del nostro popolo. Oggi è il momento delle scelte.
"Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio di inventare l'avvenire", diceva Thomas Sankara, "Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire" e per questo scegliamo di andare diritti per la nostra strada: fintzas a sa Repùbrica!
Frantziscu Sanna
Il testo è stato pubblicato anche:
- il 21.09.2011 nel sito di Sardegna Democratica Scenari per l'indipendentismo in Sardegna
- nel sito dell'associazione "Repubricanos de Sardigna" http://www.repubricanos.net/wordpress/?p=308
Si tratterebbe in sostanza di un processo complessivo di democratizzazione dal basso che potrebbe consentire a tanti di bypassare le soglie d'ingresso anguste dei piccoli partiti per scegliere opzioni differenti quali quelle che un processo federativo di questo tipo offre.
A quel punto sì che risulterà interessante costruire nuova dialettica tra opzioni sociali differenti, sarà possibile far confrontare proposte social democratiche con opzioni di matrice marxista, opzioni liberal democratiche e maggiormente moderate. Tutto avrà una sua cornice minimale in grado di mettere a sistema la diversità. Pochi punti condivisi e tanto dibattito. Riscoperta della democrazia partecipata dal basso. Ma soprattutto un messaggio chiaro passerebbe, ed è a mio avviso la cosa principale che attualmente rischia di passare inosservata e di venire cancellata dal dibattito politico, ovvero: l'indipendentismo non può che essere alternativo all'unionismo ed al neoautonomismo. Da una parte devono stare coloro che vogliono costruire una Repubblica sarda indipendente, dall'altra coloro i quali, si identificano nell'appartenenza alla nazione Italiana e osteggiano, con sfumature differenti, il processo di autodeterminazione nazionale del nostro popolo. Solo se gli indipendentisti, i repubblicani tutti, sapranno innovare lo scenario politico attuale l'obiettivo finale sarà più vicino. Solo così l'indipendentismo potrà raccogliere tutto ciò che fino ad oggi è stato seminato con passione e devozione da attivisti e militanti. Indipendentisti e sovranisti da una parte, unionisti dall'altra, così sarà possibile difendere realmente gli interessi nazionali del nostro popolo. Oggi è il momento delle scelte.
"Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio di inventare l'avvenire", diceva Thomas Sankara, "Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire" e per questo scegliamo di andare diritti per la nostra strada: fintzas a sa Repùbrica!
Frantziscu Sanna
Il testo è stato pubblicato anche:
- il 21.09.2011 nel sito di Sardegna Democratica Scenari per l'indipendentismo in Sardegna
- nel sito dell'associazione "Repubricanos de Sardigna" http://www.repubricanos.net/wordpress/?p=308
Era tutto previsto, Sedda ha finalmente provato sulla sua pelle gli effetti prodotti da una politica disgregatrice e sta correndo giustamente ai ripari. Per noi di SNI non si tratta di novità ma dell'esatta riproposizione di quanto sosteniamo da anni, attraverso gli inviti e annunci pubblici in cui abbiamo sempre proposto una forma di collaborazione, se pur flebile avrebbe sgombrato il campo da ciò che oggi è diventato il luogo comune secondo cui: " gli indipendentisti sono inaffidabili perché sono disuniti e litigiosi". Meglio tardi che mai! I dettagli del progetto sono molto interessanti e ben esposti. Personalmente, posso affermare con piena convinzione, che aderirei senza ombra di dubbio alla terza proposta.
RispondiEliminaSergio Gabriele Cossu
Era tutto previsto. Sedda ha finalmente provato sulla sua pelle gli effetti prodotti da una politica disgregatrice e sta correndo giustamente ai ripari. Per noi di SNI non si tratta di novità ma dell'esatta riproposizione di quanto sosteniamo da anni attraverso gli inviti e annunci pubblici con i quali abbiamo sempre proposto una forma di collaborazione, che se pur flebile, avrebbe sgombrato il campo da ciò che oggi è diventato il luogo comune secondo cui: " gli indipendentisti sono inaffidabili perché sono disuniti e litigiosi". Meglio tardi che mai! I dettagli del progetto sono molto interessanti e ben esposti. Personalmente, posso affermare con piena convinzione, che aderisco senza ombra di dubbio alla terza proposta.
RispondiEliminaSergio Gabriele Cossu
Infatti, niente. E' stata solo una svista. Comunque ne approfitto per farti i complimenti.
RispondiEliminaNon so cosa abbia questo blog, mi da una serie di messaggi d'errore quando posto i commenti. Comunque, hai già risposto. :)
RispondiEliminaCmq Sergio ci tengo a precisare che negli ultimi anni troppo spesso le forme di collaborazione si limitavano a ragionamenti elettorali. E SNI più volte ha fatto scelte di questo tipo. Credo che si debba guardare in un altra direzione se si vuole evitare che le alleanze si sciolgano come neve al sole il giorno dopo le elezioni contribuendo ancor di più alla frustrazione degli indipendentisti.
Non credo che franciscu abbia mai svolto un ruolo da disgregatore. Ha sempre espresso pareri politici contribuendo in maniera importante, come altri del resto, al radicamento dell'indiepdnentismo in Sardegna. Come dicevo nel commento sparito, non capisco il perchè di questo incipit su franciscu in questo contesto.
RispondiEliminabell'articolo! viva il blocco indipendentista!!!
RispondiEliminaGiorgio S'acru
Grazie Giorgio, diciamo che ho usato la parola "Blocco" come nome di fantasia.... vediamo un pò cosa come prosegue il dibattito.
RispondiEliminaBuona parte condivisibile, ma secondo me c'è un errore di fondo, si parte sempre da un'unione di classi dirigenti. I militanti e gli iscritti, che ogni organizzazione ha, che ruolo avrebbero in questo scenario ? Da quanto mi risulta le prime riunioni di "unità" promosse da aMpsi sono state rigorosamente a numero chiuso.
RispondiEliminaCredo che il lodevole tentativo di aMpI vada integrato con il coinvolgimento di associazioni, organizzazioni, attivisti, cittadini singoli. E' ovvio che i partiti sono la parte più consapevole e strutturata e quindi importante dell'attuale scenario indipendentista, non si può tuttavia prescindere dal resto degli attori presenti! Per questo quello di cui parlo nel testo considera il lavoro fatto da ampi prezioso ma non sufficiente. A me piacerebbe un processo più ampio che coinvolge da un lato le dirigenze dei partiti, le basi e tutti i soggetti (tanti) che possono essere interessati a realizzare uno scenario nuovo per l'indipendentismo in sardegna.
RispondiEliminaIl modello galiziano non solo è auspicabile, ma è ciò che dobbiamo costruire assolutamente, anche a costo di miracoli. Le altre due opzioni non possono condurre che a vicoli ciechi dell'indipendentismo sardo, come vogliamo fare dato una significativa frammentazione non solo dei partiti e movimenti, ma anche di tutte le associazioni di categoria e indipendentisti singoli? L'idea mi piace, anzi, è ciò che ogni persona di buon senso avrebbe avuto in mente pensandoci, e giusto per farsi togliere l'etichetta di poco locos e male unidos quale meglio della Federazione di tutto ciò che è indipendentista? Detto questo Frantziscu, quando il progetto si farà io mi richiamerò dentro, quando si costruirà tutti (vedrai) coloro che amano la loro terra libera dal giogo straniero vorranno entrare dentro. L'importante per me sul progetto che vi sia una rete di scambio di idee fra tutti, non solo il rispetto di quei 10 punti ma sia la rete di scambio continua e variegata fra tutti, poi, naturalmente qualcuno che vigili sui 10 punti da far rispettare. Non intendo qualcosa di oligarchico, ma solo che si garantisca non s'insinui nella federazione lo stesso fenomeno del poco locos e male unidos. Ma che dire Frantziscu? L'idea è ottima, FACCIAMOLO!
RispondiEliminaFrantsiscu, il tuo ragionamento non può che essere condiviso. E la terza ipotesi che tu auspichi in realtà è l'unica possibile se veramente si vuole che il processo indipendenstista esca dalla palude in cui si trova adesso: tutti a favore ma fermi senza riuscire a procedere. Il fatto è che fra puristi, vendicativi, nemici giurati, fratelli ad ogni costo, intellettuali, snob, ingenui e naif, folcloristici e pataccari sembra che nessuno, o quasi, sia disposto a fare quel passo indietro (o avanti) per incontrarsi con chi ha intorno. E chi come me guarda con interesse politico e culturale verso l'indipendentismo rimane disorientato ogni volta che c'è da fare scelte di campo. Servirebbe una leadership capace di catalizzare su quei 10 punti di cui parlavi l'interesse comune. Riuscirete a costruirla? Noi aspettiamo con interesse.
RispondiElimina@Emanuele, grazie per il commento. Come te, ci sono tanti che attendono di rimettere a disposizione le proprie energie quando vedranno che perlomeno sul senso di marcia non vi sono dubbi. ;) A s'intender luego
RispondiElimina@Antioco, ribadisco anche a te quanto detto ad emanuele. C'è un sempre più ampio pezzo di società sarda che guarda con interesse all'indipendentismo. Ce ne rendiamo conto tutti i giorni. Il trovarsi di fronte ad uno scenario deprimenti fatto di 12-13 organizzazioni politiche, destinate a crescere ulteriormente, diviene una delle peggiori barriere all'impegno fattivo. Non posso rispondere alla tua domanda con certezza, posso però dirti che tanti sono quelli che ci vogliono perlomeno provare.
RispondiEliminagrazie Frantz...Bona sa 'e tres....
RispondiEliminaPer ora credo sia basilare concentrarci sistematicamente su tutta quella fascia di persone alle quali Antioco fa giustamente riferimento..,prescindendo da strutturazioni partitiche che da decenni costituiscono da una parte
un vero e proprio tritacarne per potenziali organizzazioni di ampio respiro e di larga stratificazione e connotazione sociale e dall'altra
un terreno fertile per pseudo-leaders e neo- illuministi in balia del proprio ego e della propria incapacità di sintetizzare la complessità della Sardegna,nascosti dietro a comunicati e ricerca di visibilità secondo le regolette del marketing partitico made in Italy...
Convergiamo tra indipendentisti e facciamo convergere tutti i Sardi sui temi propedeutici e chiave per l'autodeterminazione gia a partire dalle singole comunità e puntando alle singole realtà di vita quotidiana.
...e su tempus at à esser maistru!
saludos a tòtus FM
Condivido, in primo luogo, lo spirito che anima questo documento e naturalmente lo scopo finale. L'analisi è lucida, gli scenari credibili, il richiamo alla responsabilità delle scelte individuali e collettive convincente, l'appello ad osare di inventarci l'avvenire positivamente carico di suggestioni trascendenti tese a non accettare passivamente l'ordine delle cose esistenti ma a praticare l'utopia concreta.
RispondiEliminaChe dire? Molte cose si potrebbero aggiungere sia per quel che riguarda l'analisi (perchè non dire chiaramente che il leaderismo, spesso privo di valori, è la causa principale della frammentazione? fare un'analisi più approfondita sulle cause del fallimento dell'opzione indipendentista nel secondo dopoguerra e negli anni '80) che le proposte (affascinante il percorso di "ricomposizione strategica" dell'indipendentismo che tuttavia deve fare i conti con l'organizzazione, non tanto quella sovraordinata, quanto quella che rimane; ad esempio: chi ci garantisce che i singoli partiti o movimenti non trucchino le carte per avere maggiore rappresentanza nel Blocco Nazionale Sardo?) Problemi naturalmente da approfondire ma non tolgono nulla al valore di questo prezioso documento. Avranno gli indipendentisti (in particolare i leader senza valori) la voglia e ilcoraggio di discuterlo?
Ciao
Gianni Marilotti
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina@Gianni
RispondiEliminaValori o non valori leader o meno...la ricomposizione strategica dell'indipendentismo e la garanzia di funzionalità di eventuali "blocchi" potrebbe essere proprio il bybassare l'indipendentismo ed i suoi temi al di fuori della classica strutturazione politica e "programmatica"...
Ragioniamo invece sulle reti relazionali e di radicamento informali in modo da creare strutture non preconfezionate...tralaltro basate oggi su una scarsità ideologica ed elaborazionistica non indifferente.
Vogliamo parlarne di quanto sia distante e poco incisivo l'indipendentismo a livello di società civile o impresa o ancora amministrazioni locali?
Mi pare , quella di Franziscu un idea da non sottovalutare:
RispondiEliminaio passererei a questo punto alla elaborazione dei 10 punti di condivisione :
io ne propongo uno con le parole semplici di
... di Michela Murgia
È la Tirrenia di una volta che ha fatto di me la donna
che sono. I suoi bagni luridi hanno aumentato
esponenzialmente le risorse del mio sistema immunitario:
oggi sono così immunizzata che potrei andare in Indocina
senza fare alcuna vaccinazione. Le sue cabine a quattro
posti da condividere con perfetti sconosciuti mi hanno
fatta diventare tollerante verso le diversità, aperta al
nuovo e curiosa degli altri. I ponti insicuri sui quali ho
trascorso tante notti perché la poltrona costava troppo mi
hanno fatta riflettere sulla fragilità della nostra
condizione umana, così esposta ai marosi del destino.
Quando riuscivo a pagarmi una poltrona era in condizioni
tali da farmi valutare come alternativa anche il linoleum
scrostato del pavimento, insegnandomi che quando credi che
il peggio sia arrivato, non è detto che sia davvero così. L’
offerta di cibo nelle sue mense mi ha forgiata all’
esercizio di un digiuno liberante.
La difficoltà di viaggiare con quelle vecchie carrette,
sempre piene o con tratte lente a massimo risparmio di
carburante, mi ha educata al valore della rinuncia,
insegnandomi a non prendere le occasioni al volo, che non
si sa mai dove ti portano. Vedere che per i turisti
d'estate venivano messe navi migliori e più veloci mi ha
insegnato che dall'altra parte del mare qualcuno era
convinto che i sardi meritassero gli scarti, tanto non
potevano scegliere.
Per me la vecchia Tirrenia monopolistica è stata una
maestra di vita e una scuola di filosofia impareggiabile.
Senza la Tirrenia io non sarei indipendentista, perché
niente è mai stato efficace come la sua inefficienza - e la
volontà politica di lasciarla tale - per farmi capire
quanto la nostra libertà di far parte del resto del mondo
fosse condizionata dalle decisioni altrui. Chissà che un
ritorno al salubre passato non aiuti altri sardi a
realizzare le stesse conclusioni.
"Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire" e per questo scegliamo di andare diritti per la nostra strada: fintzas a sa Repùbrica!
RispondiEliminaCaro Francesco e cari Patrioti, la Repubblica di Sardegna e lo Stato Sardo, non sono l’obiettivo finale del Popolo Sardo ma la fase intermedia e lo strumento istituzionale per inventare un avvenire veramente libero ed il più vicino possibile alla felicità che Eliseo Spiga dichiarava nei suoi scritti e Antoni Simon Mossa ipotizzava nei tempi del Boom economico ??? italiano. Osare di inventare il nostro avvenire non può limitarsi ad individuare una soluzione di indipendenza statuale della Sardegna ma deve considerarla come Stato protagonista nello scenario mondiale, come modello di convivenza, di comunitarismo, di socializzazione e di sviluppo economico equilibrato e non sfrenatamente capitalistico come quello che stiamo conoscendo e vivendo in questi ultimi sessant’anni. Una Sardegna libera in un mondo globalizzato verrebbe schiacciata dalle speculazioni e dall’ostruzionismo dei potenti, (stati e/o poteri occulti) che la annullerebbero nel volgere di poche ore. La nostra terra Sarda ed il nostro Popolo hanno un compito ben più grande da svolgere e l‘indipendenza, la formula statuale, la sua riorganizzazione istituzionale, amministrativa, burocratica ed economica, le risposte ai cittadini ed al mondo dell’impresa e del lavoro, la capacità di difendersi e convivere nel mercato globale selvaggio con una alternativa produttiva, capace di adeguarsi ed anticipare gli stravolgimenti produttivi ed economici delle multinazionali e degli affari che non considerano l’umanità degli esseri ma l’interessi di “pochi esseri”, garantendo uno sviluppo ed un benessere paramentrato non sui bisogni reali ma sulla necessità di consumo e di soddisfazione di effimere necessità, sono solo alcune delle capacità che il Popolo sardo e lo Stato Sardo Indipendente devono conquistare per essere riconosciuti Repubblica e Stato. La gittata del nostro sguardo e del nostro coraggio nell’avvenire deve essere necessariamente più lungo dell’obiettivo Indipendentista, per non essere più solo colonia ma vero popolo libero ed indipendente.
Vincenzo Carlo Monaco
Articolo interessante e condivisibile praticamente in tutto.
RispondiEliminaMi auguro che ora si trovi la forza di girare pagina.
Dobbiamo smetterla di mettere l'accento sulle dispute che ci sono state e sui punti di frizione, entrambi irrisori rispetto alle capacità propositive dell'universo indipendentista e all'obbiettivo di emancipazione del nostro popolo che abbiamo davanti.
@Fulvio, grazie fulviè... io penso che siano necessari tutti gli attori in questo processo, nessuno escluso. Tutti hanno da dare un contributo, seppur piccolo!! :)
RispondiElimina@Gianni, gli spunti che poni sono di grande interesse e non sarebbe male continuare ad interrogarsi su tali questioni approfondendole meglio. A mio avviso l'indipendentismo ha voglia di discuterne perchè tutti, a prescindere dall'orientamento, percepiamo la criticità della situazione attuale... e le enormi potenzialità che ciò comporta. Anche il problema che poni inerente la questione organizzativa dimostra che in questi anni abbiamo allenato il nostro sguardo a cogliere fin da subito eventuali possibili intoppi... Per questo sono ottimista. Speriamo gianni di avere occasione per discuterne quanto prima... cara a cara!
RispondiEliminaFrantzì … complimenti!
RispondiEliminaCondivido l’analisi, ma soprattutto lo spirito. Come direbbe Gigi Proietti .. “a me, me piace!”
Per chi non sa chi sono, tengo a precisare che personalmente non ho mai avuto la tessera di un partito, ma per anni ho militato, assumendone anche la responsabilità di segretario regionale, nel Movimento Federalista Europeo nell’ambito del quale espressioni come “unità nella diversità”, “sussidiarietà”, “comunitarismo e cosmpolitismo” hanno fatto e fanno parte del mio vocabolario, del mio linguaggio e del mio sistema di valori.
L’indipendenza della Sardegna è dentro questo disegno e le espressioni di cui sopra secondo me sono totalmente dentro la prospettiva indipendentista. Sono altresì sensibile ad una Politica, intesa come servizio ad una Comunità di persone, a trovare linguaggi, luoghi, persone, azioni con le quali condividere idee ed esperienze che, in una prospettiva “win win”, permetta ai Sardi tutti di poter vivere meglio di quanto non accada ora.
Ciò premesso, queste sono alcune delle implicazioni che mi sovvengono a caldo dalla lettura dell’articolo:
a) l’indipendenza non è fine a se stessa ma rappresenta il presupposto per poter consentire ai Sardi, sia quelli che ci sono nati che quelli che ci vivono, di poter vivere in migliori condizioni di pace e prosperità;
b) l’indipendenza si deve costruire immaginando un futuro possibile che, senza dimenticare la storia, guardi ad essa solo per evitare gli errori passati e non invece serva solo per un torcicollo caratterizzato dallo sguardo nostalgico o dalle precisazioni di primogenitura di idee e iniziative, giusto per dire “io lo avevo detto” o cose simili, come se questo dovesse servire per dire solo “non stai dicendo nulla di nuovo” senza considerare che le stesse cose dette in periodi diversi hanno valore diverso (principio di contingenza);
c) la costruzione dal basso e l’ampia partecipazione è troppo spesso indebolita dalle cicatrici delle storie personali di alcuni uomini importanti che hanno fatto la storia di tante delle organizzazioni politiche che si ispirano all’indipendenza (ma lo stesso vale in tante altre organizzazioni e istituzioni). Si tratta di persone che però sono portatrici di un patrimonio di conoscenza e cultura che deve adeguatamente essere messo al servizio della causa e non utilizzato per rivendicare posizioni di leadership a priori. Infatti, la leardership, in senso tecnico, deriva dall’associazione del potere con l’autorità. Quest’ultima non è in capo al detentore del potere ma in capo alla collettività di soggetti che ritiene di individuare in una certa persona colui/colei che meglio di altri possa interpretare le istanze del gruppo di riferimento. Insomma la leadership non si impone, la leadership viene scelta. La mia modesta opinione è che la scelta del leader sia un passaggio fondamentale che se gestito in modo inappropriato, rischia di far abortire il processo di ricomposizione strategica;
d) l’individuazione dei 10 punti di convergenza (il numero ovviamente può essere più basso ma anche più alto) è fondamentale e deve essere chiaro però che tali punti non sono mai da considerare a se stanti e che da ciascuno di essi derivano delle implicazioni, onde per cui se pure rimane la libertà dentro ogni organizzazione in ordine agli aspetti non trattati dai punti di convergenza occorre prestare attenzione sul fatto che, viste le connessioni, non si intraprendano a livello di singola organizzazione azioni che sono in contrasto con i punti condivisi.
Fortza paris fintzas a sa Republica!
Grazie Frantziscu,
RispondiEliminaanche io credo che il terzo scenario sia quello più praticabile in Sardegna.
Non vedo l'ora :-)
Fintzas a sa Republica
Bel documento, ampiamente condivisibile. A noi provarci... e riuscirci!
RispondiElimina@Luca, sono perfettamente d'accordo con te. POssiamo continuare a guardare alle nostre piccole battaglie interne di cui nulla interessa ai sardi... oppure scegliere di dedicarci ad altro! A sa Repùbrica!
RispondiElimina@Luigi, ajò luì est tempus!
RispondiElimina@Ivo, grazie!! Dici bene... a noi provarci!
RispondiEliminaL'idea è tutta allettante, in particolare la terza ipotesi. Mi sovviene solo un dubbio, sul quale rimugino un po' di giorni: ma siamo sicuri che tutti i sardi siano consapevoli della loro "sardità"? Ovvero del loro passato, presente ed eventuale futuro? Io sono emigrata, purtroppo, da qualche anno, e solo con la lontananza ho imparato a desiderare di scoprire cosa significhi essere una nativo della nostra isola. Fino ai vent'anni ci ho vissuto senza conoscerla davvero. Senza sapere nulla della nostra VERA storia. Magari sapevo tutto degli etruschi, ma di noi nulla. Ho paura che se non si formino prima i sardi, si finisca come sosteneva cavour con gli italiani... So che è un progetto a lunga scadenza, ma io partirei da lì! Comunque provare sarà necessario, e su tutti i fronti!
RispondiEliminatrovate la forza e la volonta' di far si che accada questo(mi riferisco allo scenario 3)e vedrete che i sardi saranno uniti nella loro disuguaglianza,è l'unico modo per la realta socio-politica sarda
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