venerdì 23 aprile 2010

Incentivi al consumo, eco-incentivi... per chi?

Ogni anno all’interno della legge finanziaria, provvedimento che rappresenta in maniera complessiva le strategie economiche e finanziarie dello stato italiano, vengono introdotti i cosiddetti “incentivi al consumo”.
Benché si presentino ogni anno in forme differenti, essi rappresentano un modo attraverso cui il governo italiano decide di intervenire direttamente sull’economia reale e sui settori produttivi.


Incentivare per anni l’acquisto di auto nuove, attraverso contributi in denaro che vanno direttamente ai concessionari e di conseguenza alle case produttrici, non è nient’altro che un assegno staccato in bianco alla Fiat che da sola copre una quota superiore al 30% del mercato dell’auto italiano.

Ovviamente, viene in questo modo aggirato il principio dell’aiuto di stato illegittimo in quanto a beneficiarne sono tutti i produttori di auto e non uno in particolare. Tali incentivi vengono inoltre mascherati da “eco-incentivi” in quanto teoricamente in grado di ridurre le emissioni di CO2 attraverso il rinnovamento del parco auto circolante. E se si incentivasse il trasporto pubblico invece di fingere strategie di tal specie? In Sardegna i livelli di infrastrutturazione del territorio rasentano livelli prossimi al ridicolo. Nessuno in Sardegna investe sui beni collettivi materiali.

Insomma, tornando a noi, quando uno stato decide di destinare risorse volte ad incentivare l’acquisto di certi beni lo fa per stimolare determinati settori produttivi, tutto il resto è semplice chiacchiera da bar.
Facciamo un esempio banale: se lo stato italiano qualche anno fa, invece di incentivare l’acquisto di auto nuove, avesse incentivato l’acquisto di giocattoli fatti con le barrette magnetiche probabilmente oggi l’azienda sarda dei fratelli Tusacciu non sarebbe fallita. Sembrerà assurdo il parallelo ma la Fiat è ancora in piedi, la Plastwood no.

Ovviamente si tratta di una provocazione e mille potrebbero essere le ragioni per sostenere che la Plastwood non avrebbe potuto/dovuto usufruire comunque di nessun supporto di questo tipo. Ma non è questo ciò che ci interessa in questa sede.
Provate ad ascoltare l’intervento dell’amministratore delegato del Gruppo Fiat Marchionne, rilasciata qualche mese fa al termine di una convention per la nomina del nuovo presidente del gruppo FIAT, oppure limitatevi ad una lettura dei quotidiani: “Fiat lancia l'allarme incentivi: Rischio calo vendite del 30%”. Giustamente la Fiat, attore produttivo importante del comparto industriale italiano, lancia l’allarme e minaccia piani industriali all’insegna del taglio dei posti di lavoro, della cassa integrazione e via discorrendo. Il gigante dell’auto ha bisogno dell’aiutino, e chi non ne avrebbe bisogno in un periodo di crisi?

Le minacce e i toni allarmati sono dovuti al fatto che per la prima volta dopo tanti anni, il governo italiano ha deciso di destinare gli incentivi ad altri settori produttivi e non a quello dell’auto.

Cosa avrà deciso di incentivare lo stato italiano questa volta? Quali comparti produttivi? Con quale strategia di fondo?
Forni, cucine componibili e motorini, sono questi alcuni dei beni che riceveranno quest’anno l’aiutino di stato mascherato da eco-incentivo.
Cosa c’è in fondo a questa partita apparentemente innocente e tutta giocata sul tentativo di far credere ai consumatori di aver ricevuto un ottimo supporto dallo Stato? Per i cittadini italiani non vi è niente di male, anzi si tratta di provvedimenti di indubbio valore per supportare da un lato i consumi e dall’altro il tessuto produttivo. Che vantaggio ne traggono, invece, i cittadini sardi? Sicuramente beneficiano dell’incentivo al consumo ma provate a chiedervi se ne hanno un beneficio in termini di miglioramento e/o di sostegno ai settori produttivi locali? In termini di costruzione di nuovi posti di lavoro o ancora in termini di miglioramento delle capacità competitive delle proprie aziende: assolutamente nessuno. L’auto, i frigoriferi, le cucine componibili e i motorini sono da sempre i tradizionali prodotti del “made in italy”. Prodotti che rappresentano il frutto del lavoro delle imprese della cosiddetta terza Italia, quella dei distretti industriali del nord est, e dell'indutria italiana del più tradizionale triangolo del industriale el Nord-Ovest.

I soldi delle tasse, anche delle nostre, finiscono ogni anno nel grande calderone attraverso cui lo stato italiano decide di supportare il suo tessuto produttivo, il proprio interesse nazionale. E l’interesse nazionale del popolo sardo? Ovviamente non interessa a nessuno, tanto meno alla nostra classe politica che di anno in anno si interessa solamente di fornire un sostegno clientelare alle aziende "stracotte" della chimica di base italiana o alle brillanti idee di fantomatici signorotti più avvezzi alla procedura fallimentare che al rischio d’impresa.

In Sardegna vi è un serio problema di politiche volte al miglioramento dei nostri comparti produttivi. Se si aggiunge l’assenza di politiche fiscali ed economiche eccovi servito il fallimento annunciato di cento, mille Tusacciu. In alcuni casi potrà pure trattarsi di scarse capacità imprenditoriali ma quando a trovarsi in uno stato debitorio sono più di un terzo delle imprese sarde un piccolo dubbio dovrebbe sorgere a tutti. È possibile che in Sardegna le politiche serie, per le piccole e medie imprese, di tutti i settori, siano pressoché inesistenti? È possibile che le leggi di incentivazione, si supporto, entro i limiti degli aiuti di stato imposti dall’UE, si rivelino fallimentari in tutti i sensi?

È necessario ripartire anche dalle prossime elezioni per il rinnovo degli 8 consigli provinciali sardi. È necessario dare un segnale forte di cambiamento volto alla costruzione di politiche di sovranità che, anche a livello territoriale, siano in grado di creare una terra di opportunità nuove per le imprese e per le società locali. Cominciamo a scegliere il nostro destino: scegliamo di cambiare per il nostro interesse collettivo, per il nostro futuro, per la Repubblica che verrà.

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