A fine ottocento, in una Sardegna piegata dalle politiche protezioniste e fiscali del governo piemontese, si aggiravano dei loschi personaggi che convincevano contadini e allevatori a partire per il Brasile promettendo guadagni e lavoro. Partirono in tanti in quegli anni, 2500 solo nel 1896-97, alla volta del Brasile provenienti perlopiù dal nord Sardegna su cui la crisi delle esportazioni del bestiame verso la Francia aveva pesato di più, e la ricerca di qualche soldo per sfamare la famiglia diventava una necessità. La disperazione in quegli anni era frutto di scelte capaci di compromettere l’intera economia isolana. Furono pignorati beni immobili e mobili a 1 famiglia su 4 mettendo in ginocchio intere aree. I procacciatori di manodopera a basso costo, vere e proprie agenzie strutturate, venivano dal continente, promettevano e garantivano, rassicuravano e spiegavano le possibilità dell’emigrazione nel nuovo mondo. Degli schiavisti di quel tempo. Ben presto i sardi partiti in quegli anni ritorneranno lamentando condizioni di miseria e di sfruttamento inaccettabili. Si apriva così la storia migratoria del nostro popolo.
Negli anni ’50 e ’60 del novecento stessa storia con attori diversi. Fu lo stato italiano a stipulare gli accordi internazionali che consentivano uno scambio “equo” tra manodopera (perlopiù mineraria) e materie prime a prezzi politici. Sono gli anni del secondo grande esodo dei sardi. Emigreranno in decine di migliaia senza soluzione di continuità, senza distinzione di provenienza. In questo caso ad organizzare i viaggi erano gli stessi uffici ministeriali: garantivano visite mediche, la logistica negli snodi di passaggio e in alcuni casi anche l’accoglienza nel luogo di arrivo per lo smistamento dei lavoratori.
E’ di questi giorni la notizia che il sindaco di Elmas abbia dato vita ad un “interessante” esperimento di welfare municipale stanziando un po’ di risorse per consentire ai suoi concittadini di partire alla ricerca di un lavoro. Pagare un biglietto aereo, magari su una compagnia low cost, in fondo, risulta essere molto più semplice oggi di quanto non fosse 100 anni fa organizzare una traversata transoceanica. In fondo le politiche e i modelli sono rimasti gli stessi cambiano solamente gli attori e i soggetti che incidono sui processi di mobilità del nostro popolo.
Politiche economiche, politiche fiscali e un determinato modello di welfare: è questo il fallimento. Oggi come ieri, l’incapacità di fornire risposte ai drammi occupazionali, l’incapacità di dare spazio a politiche strutturali di trasformazione sociale o di welfare universalistico danno vita ad esperimenti quantomeno ridicoli che non fanno altro che rappresentare il fallimento delle politiche dipendentiste attuate in questi anni.
C’è un filo rosso che lega questi tre piccoli grandi eventi della nostra storia moderna: la storia dell’emigrazione dei sardi di ieri e di oggi, una diaspora che va avanti da 150 anni ed è metafora della nostra attuale condizione. A noi, e solo a noi, spetta progettare strategie differenti per evitare che le soluzioni estemporanee di qualche avventuriero (sia esso un agenzia di schiavisti, uno stato o un sindaco di uno dei nostri paesi) impongano la strategia della rassegnazione e della sconfitta.
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